LA COMMISSIONE ITALO-SVIZZERA PER LA PESCA: OLTRE 100 ANNI DI STORIA

Alcide Calderoni
CNR Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, Verbania Pallanza Segretario della Commissione italo-svizzera per la pesca


Prima del 1880 le attività di pesca nelle acque italo-svizzere erano gestite in ciascuno dei due territori amministrativi a seconda delle leggi in vigore nel rispettivo Stato. Questo sistema non poteva risultare di completa soddisfazione, nè era in grado di assicurare un’adeguata tutela, poiché i periodi di divieto e l’uso delle diverse reti non coincidevano, anzi recavano disparità di trattamento fra i pescatori dei due Stati e ne soffriva grandemente anche il mantenimento della popolazione ittica nelle acque comuni. Anche le sanzioni amministrative e penali per le infrazioni di pesca erano assai diversificate tra i due Stati e, generalmente, più rigorose e severe in Svizzera che in Italia.

In seguito a queste constatazioni e per meglio proteggere la conservazione e l’incremento del patrimonio ittico, i due Stati decisero di stipulare un’unica legge attraverso la stesura di una Convenzione. Allo scopo furono incaricati nel 1890 tre delegati, il prof. Vogt (1) per la Svizzera e, per l’Italia, l’avv. Romanelli (2) e il prof. Pavesi (3) , entrambi membri della Commissione Consultiva per la Pesca del Ministero Agricoltura, Industria e Commercio (Pavesi, 1906).

Le loro indubbie competenze tecniche e scientifiche, insieme con i modelli di convenzioni precedenti tra la Svizzera e il Ducato di Baden e l’Alsazia Lorena, consentirono la compilazione di un accordo sottoscritto a Lugano il 15 settembre 1880 che venne poi integrato da suggerimenti e nuove proposte e, finalmente, trasformato in Convenzione tra i due Stati a Berna il giorno 8 novembre 1882.

Da allora si sono susseguiti numerosi provvedimenti, compendiati per facilità di consultazione in Tab. 1, dove sono riportati quelli più importanti e significativi adottati in Italia. Nella ricostruzione del quadro storico legislativo, si è fatto riferimento all’archivio del Commissariato italiano per la pesca nelle acque italo-svizzere (1906-1994), che è stato ricostruito e riorganizzato cronologicamente a partire dal 1906 (Calderoni, 1995). Esso, pur essendo largamente incompleto fino alla prima metà degli anni ‘20 e nel triennio 1943-1945 (4), fornisce preziose indicazioni sulla gestione della pesca nelle acque comuni e sulle sue problematiche, nonchè sulla legislazione che ha regolamentato per un secolo l’intera materia.

I primi due Commissari (elenco completo dei Commissari in Tab. 2), cui era affidato il compito dell’esecuzione della Convenzione e dei relativi regolamenti, furono per l’Italia l’avv. Venini di Como, membro della Commissione Consultiva per la Pesca, e, per la Svizzera, il sig. Franscini direttore delle Dogane a Lugano.

Tab. 1 - Principali provvedimenti normativi sulla pesca per le acque italo-svizzere adottati congiuntamente dallo Stato Italiano e dalla Confederazione Svizzera



La Convenzione venne successivamente integrata in data 8 luglio 1898 con Atto Addizionale riguardante il procedimento giudiziario e le pene per le infrazioni alla Convenzione. Successivamente fu perfezionata con ulteriore atto formale del 15 gennaio 1906, e, finalmente, a Lugano il 13 giugno 1906 fu conclusa una nuova “Convenzione fra l’Italia e la Svizzera per disposizioni uniformi sulla Pesca nelle acque comuni ai due Stati”, resa esecutiva con Reale Decreto (DR) del 17 gennaio 1907, n. 12. Tale Convenzione venne poi modificata in alcuni suoi articoli da un Atto Addizionale firmato a Roma in data 8 febbraio 1911 (DR di esecuzione del 22 marzo 1911, n. 292).

Tab. 2 - Elenco dei Commissari per la pesca italiani e svizzeri.



(a) In attesa della nomina del nuovo Commissario, ha svolto le funzioni vicarie nella sua veste di Ispettore Federale per la Pesca.

(b) Dal 1915 al 1923 ha operato, su delega del Commissario Cermenati, il cav. Cunico, Delegato governativo per il controllo delle reti.

(c) E’ interessante ricordare che il cav. prof. Marco De Marchi, appassionato cultore di studi limnologici, era il proprietario dell’attuale sede del CNR Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, già Istituto Italiano di Idrobiologia, ente che la moglie Rosa Curioni fondò a Pallanza nel 1938 in memoria del marito.

(d) Il Conte Borromeo, durante la sua assenza (1940-1945) per la mobilitazione nel periodo bellico, ha affidato all’Amministrazione Borromeo il disbrigo delle pratiche amministrative delegando la parte tecnica nonchè i contatti con il Commissario svizzero al cav. Nicastro, Delegato governativo per il controllo delle reti, previa consultazione sulle questioni di una certa importanza con il prof. Lo Giudice Direttore del Regio Stabilimento Ittiogenico di Brescia (lettera del 1/6/40 al Commissario svizzero citata nel verbale di Commissione del 24/8/40, Lugano).

(e) Commissari attualmente in carica.


Il “Regolamento per la pesca nelle acque comuni all’Italia e alla Svizzera” in esecuzione della Convenzione fu approvato con DR del 17 marzo 1912, n. 387 ed entrò in vigore il 22 giugno dello stesso anno: veniva concesso un termine di due anni ai pescatori per uniformarsi alle nuove disposizioni concernenti le reti e gli strumenti di pesca nelle acque previste dal regolamento stesso, vale a dire il Lago Maggiore, il Lago di Lugano ed i fiumi Doveria (oggi Diveria), Melezza (Melezzo orientale), Giona, Tresa, Breggia, Mera (Maira), Poschiavino e Spöl.

Successivamente, le modifiche più importanti della normativa comune ai due Stati riguardarono le tabelle degli attrezzi annesse al Regolamento di esecuzione. Alcune variazioni ai periodi di divieto delle reti vennero introdotte con DR del 2 febbraio 1939, n. 535 che modificava il precedente DR del 1/7/20 inerente a concessioni estensive di uso di alcuni attrezzi. Tali disposizioni, insieme con le Tabelle allegate al regolamento del 1912, vennero poi abrogate con Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) del 14 settembre 1948, n. 1426 e sostituite con una nuova “Tabella delle reti ed altri attrezzi di pesca permessi nelle acque comuni alla Svizzera e all’Italia”. Nello stesso periodo, ratificando lo scambio di note del 13 ottobre, 19 e 30 dicembre 1947, con DPR del 7 dicembre 1948 n. 1618, furono modificati l’art. 17 della Convenzione del 1906 (facoltà dei Commissari ad anticipare o ritardare i periodi di divieto senza modificarne la durata) e gli art. 12 e 17 bis dell’Atto Addizionale del 8 febbraio 1911 (divieto della canna con lancio nei laghi in periodo di divieto della trota), nonchè l’art. 19 del Regolamento di esecuzione del 1912 (possibilità dei Commissari di introdurre divieti per nuove specie e di differenziarli per singole zone dei laghi). Un ulteriore scambio di note del 13 e del 27 novembre 1950 venne convertito in legge con DPR n. 1361 del 2 luglio 1951 che modificò l’art. 16 della Convenzione (riduzione della misura dell’alborella da 9 a 7 cm) e gli articoli 11 e 16 del Regolamento di esecuzione (rispettivamente, periodo di divieto per attrezzi ausiliari e riduzione della misura dell’alborella da 9 a 7 cm); inoltre, tale provvedimento introdusse aggiunte e deroghe alle disposizioni previste nelle Tabella delle reti ed altri attrezzi di pesca permessi nelle acque comuni alla Svizzera e all’Italia approvate il 14/9/48 con DPR 14/9/48, n. 1426.

Nella seconda metà degli anni ‘60 i Commissari, riprendendo una volontà comune che si era manifestata più volte anche nel quarantennio precedente, decisero di mettere mano al rifacimento della Convezione per produrre una normativa uniforme per i due Stati, comprensiva anche di un nuovo Regolamento di esecuzione e di nuove Tabelle per le reti e gli altri attrezzi di pesca. Nonostante il loro continuo impegno e il coinvolgimento delle Ambasciate italiane e svizzere, l’iniziativa andò in porto soltanto per la parte che riguarda le nuove Tabelle delle reti che, per le acque italiane, vennero adottate nel novembre del 1971 con Decreti Prefettizi, su delega del Ministero Agricoltura e Foreste, dalle Prefetture delle Province di Novara, Varese, Como e Sondrio. Al proposito va osservato che gli sforzi per rinnovare la Convenzione si sono frequentemente arenati (5), non per reali dissensi tra le parti sulla normativa da proporre, quanto invece per effettive difficoltà di ordine tecnico-giuridico sul piano diplomatico e, più ancora, per le lungaggini dell’iter burocratico. Infatti, soprattutto in Italia, era prevista l’espressione di numerosi pareri obbligatori di svariati Enti dell’amministrazione centrale dello Stato (Ministero Agricoltura e Foreste, Ministero Affari Esteri, Ministero di Grazia e Giustizia, Ministero del Tesoro, Commissariato Generale della Pesca, Ambasciata d’Italia, Consolato d’Italia, Prefetture), degli Enti Locali (Province e, dopo il 1970, anche le Regioni), nonchè di Enti tecnici istituzionali (Stabilimento Ittiogenico di Brescia, Consorzi obbligatori di tutela pesca; Commissioni consultive pesca). I tempi diventavano allora così lunghi che le singole proposte di modifica quasi sempre si bloccavano e dovevano ripartire da capo perchè nel frattempo erano cambiate le competenze degli Enti chiamati ad esprimersi, oppure erano sopravvenuti eventi di ben altra portata - ultimo conflitto bellico, ricorrenti crisi di Governo, elezioni politiche ed amministrative - che distoglievano l’attenzione, già poco vigile, dai problemi della pesca.

Va ancora notato che fin dall’inizio del secolo, parallelamente alla normativa comune approvata congiuntamente dagli Stati, venivano frequentemente introdotti altri provvedimenti, limitati nel tempo ed a singoli ambienti acquatici, spesso diversi nei due Stati, proposti di volta in volta dai Commissari ed assunti secondo le procedure in vigore nei rispettivi Stati di appartenenza. Avveniva così che il Regolamento vigente al momento fosse di fatto superato da numerose modifiche, con aggiornamenti degli attrezzi consentiti e delle modalità di pesca che, in mancanza di una revisione organica della Convenzione, rincorrevano le nuove e diverse esigenze che via via emergevano col trascorrere degli anni. A questo proposito è interessante far notare che, tra le esigenze del “momento”, ha assunto un ruolo di grande importanza l’aspetto della pesca come risorsa primaria per l’alimentazione della popolazione rivierasca. I Decreti del governo svizzero (18 maggio 1920) e del Commissario italiano (1 luglio 1920) consentivano deroghe estensive per l’uso delle reti e per i periodi di divieto al fine di incrementare i mezzi di sussistenza che nel periodo post bellico erano molto scarsi, pur nella consapevolezza dei due Commissari che le nuove disposizioni fossero grandemente nocive al patrimonio ittico del lago (6). Le stesse ragioni furono chiamate in causa nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale anche per la concessione di facilitazioni a favore dei pescatori italiani del Ceresio in termini di allargamento delle zone di pesca alle acque svizzere e di riduzione del costo della patente di pesca per gli utenti italiani (7).

Un altra “esigenza” che balzò prepotentemente all’attenzione dei Commissari fin dalla seconda metà degli anni 40’ fu la questione dell’inquinamento. Già nel 1941-1942 si era notata una gravissima crisi dell’agone nel Lago di Lugano (8). Questa specie, dopo un’apparente ripresa nel biennio successivo, andò incontro dal 1945 al 1947 ad ulteriori e ripetute morie che indussero il Commissariato svizzero a promuovere appropriati studi per verificarne le cause e suggerirne i rimedi (9).

A seguito di queste indagini, nel novembre del 1945 fu segnalata per la prima volta la presenza di Oscillatoria rubescens nel golfo di Lugano. Da allora, l’alga si mantenne nell’acqua in densità molto basse, ma nel biennio 1954-1955 essa si incrementò dando origine a fioriture autunnali e primaverili in gran parte del lago, che proseguirono anche negli anni successivi (Jaag, 1958), tanto che, nell’autunno del 1956, il fenomeno, trasferito attraverso il Fiume Tresa, interessò il Lago Maggiore (10).

Le ricerche, anche se non consentirono di definire con precisione le ragioni delle mortalità dell’agone, specie peraltro soggetta a periodiche ed accentuate oscillazioni di abbondanza, misero però in luce che il Lugano andava incontro ad un progressivo peggioramento delle sue caratteristiche chimiche e biologiche, tanto che Baldi (1948) scriveva “... è intervenuto un fatto nuovo, che ha accelerato l’evoluzione trofica del lago e lo sta velocemente spingendo verso l’eutrofia....”. Fu così che la Commissione si trovò per la prima volta ad affrontare un nuovo fenomeno, quello dell’”eutrofizzazione”, che tanta parte avrebbe avuto nelle vicende future, non solo del Lugano, ma anche del Maggiore.

Ma i poteri dei Commissari e l’aiuto della normativa della Convenzione del 1906 sulla pesca (art. 12 comma 5: “E’ vietato di versare, o far scolare, nelle acque comuni, i residui di officine, od altre sostanze di natura ed in quantità tali da poter nuocere ai pesci ed ai gamberi. Tali residui dovranno essere eliminati dai proprietari di stabilimenti in modo da non portare pregiudizio ai pesci”), in assenza pressoché totale di leggi per la tutela e la protezione dei corpi idrici, erano ben modesti strumenti per affrontare una problematica così estesa e rilevante come quella dell’alterazione dei corpi idrici. Infatti, l’inquinamento si allargò sempre di più nel ventennio dal 1945 al 1965, aggravando la situazione delle acque lacustri comuni, ormai coinvolte da preoccupanti segnali di eutrofizzazione, e quelle dei corsi d’acqua, sottoposti a scarichi industriali massivi che davano luogo a gravi episodi di mortalità ittiche, come più volte è avvenuto - per limitarsi ai principali tributari del Lago Maggiore - sui Fiumi Toce (11), Tresa (12) e Bardello (13).

Fu alla fine degli anni ‘50 che i Commissari, ben consci degli effetti dell’inquinamento e dell’eutrofizzazione sulla produttività ittica dei laghi, sentirono la necessità di farsi affiancare da una Commissione di esperti della materia che, sulla base opportuni studi, potesse prospettare i necessari rimedi. Nella seduta di Commissione della pesca del 4/11/60 a Lugano, fu quindi costituita, con il consenso dei rispettivi Governi e nominata dai Commissari, una prima “Commissione italo-svizzera per la protezione delle acque” formata da esperti dei due Paesi (Jaag, Massarotti e Pedraita, per la Svizzera; Cominazzini, Sampietro e Tonolli, per l’Italia) (14), con autonomia operativa sul piano tecnico e scientifico, ma con il compito di redigere periodici rapporti informativi ai Commissari per la pesca sugli “.... studi sanitari dei Laghi Ceresio e Verbano e dei loro affluenti, nonchè sull’accertamento delle fonti di insudiciamento e di inquinamento....”

Ben presto la Commissione, incrementata negli anni successivi da altri esperti riuniti in Sottocommissioni tecniche ed in gruppi di lavoro, sentì la necessità di affrontare l’intera materia in modo più organico ed autonomo rispetto ai problemi della pesca, per stabilire precisi programmi di ricerca finalizzati alla individuazione delle cause dell’inquinamento e alla formulazione di proposte concrete per la protezione delle acque comuni. Fu così che i Commissari per la pesca nel 1965, sulla base delle esperienze di analoghe Convenzioni per il Lago di Costanza (27/10/60), Lemano (11/11/62) e per il Fiume Reno (29/4/63), presentarono un progetto di Convenzione all’attenzione delle Autorità competenti dei due Stati, sollecitandone negli anni successivi ripetutamente l’approvazione, per avere finalmente uno organismo internazionale, riconosciuto sotto l’aspetto giuridico, e dotato di adeguate risorse finanziarie per promuovere approfondite ricerche sulle acque comuni nonchè proporre ai Governi i provvedimenti necessari per porre rimedio all’inquinamento esistente e prevenire quello futuro. L’iniziativa arrivò a conclusione con gli accordi firmati a Roma il 20 aprile 1972 e, dopo il previsto Scambio di Note, la “Convenzione tra la Svizzera e l’Italia concernente la protezione delle acque italo-svizzere dall’inquinamento” fu ratificata nel corso del 1973 ed entrò in vigore il 7 agosto 1973.

Riprendendo il discorso sulle prerogative proprie della Commissione per la pesca nelle acque italo-svizzere, va ancora segnalato che nel 1973 i due nuovi Commissari (15) riconsiderarono congiuntamente la materia decidendo di predisporre un testo riveduto della Convenzione del 1906. Il successivo lavoro di verifica produsse un primo disegno di modifica che venne proposto all’attenzione della Commissione dalla Delegazione svizzera nel 1976 (verbale di Commissione del 28/5/76, Vacallo). Ma è soltanto nel biennio 1979-1980, dopo l’approvazione del Regolamento interno della Commissione (16) ed anche in conseguenza della formale costituzione di una Delegazione italiana (17) rappresentativa delle esigenze tecniche e delle competenze amministrative, che venne avviata una azione più decisa ed incisiva per mettere fine alla polverizzazione dei provvedimenti e alla frammentazione delle competenze, che, di fatto, vanificavano lo spirito originario di regolamentazione “comune”.

Nel 1980, con la convocazione a Berna di una apposita riunione per l’esame di una “Proposta per una nuova Convenzione tra l’Italia e la Svizzera per la pesca nelle acque comuni ai due Stati” si aprirono ufficialmente le trattative tra i due Stati (18). Da allora iniziò un intenso lavoro volto all’integrale rifacimento della Convenzione del 1906, che, pur avendo dimostrato una sostanziale validità in oltre 70 anni di applicazione, doveva essere ormai adeguata alle mutate situazioni sociali ed ambientali, all’accresciuto corpo di conoscenze scientifiche, all’affacciarsi di problemi ed esigenze in passato sconosciuti, nonchè alla necessità di conferire una scrittura ed un ordinamento più moderni ai concetti e alle prescrizioni contenuti nel testo della Convenzione. L’impianto tecnico e normativo della nuova Convenzione venne approvato dai due Commissari e dalla Commissione nel corso del 1981, ma le trattative diplomatiche e l’esame da parte degli organi dei due Stati, nonchè delle Regioni e Province in Italia e dei Cantoni in Svizzera, richiesero tempi lunghi. La nuova "Convenzione per la pesca nelle acque italo-svizzere tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera", che, tra l’altro, ridusse le acque di competenza ai Laghi Maggiore (Verbano) e Lugano (Ceresio) nonché al Fiume Tresa, venne firmata a Roma il 19 marzo 1986. In Italia, la successiva trasformazione in legge dello Stato richiese ancora due anni e, finalmente, la Convenzione fu ratificata con Legge 22 novembre 1988, n. 530. Perfezionato in data 22 febbraio 1989 il previsto scambio di note fra i due Stati, essa entrò in vigore dal 1 aprile 1989, unitamente a due nuovi atti fissati di comune accordo tra i Commissari in applicazione della nuova Convenzione, vale a dire il "Regolamento d’Applicazione della Convenzione per la pesca nelle acque italo-svizzere”, sostitutivo del regolamento di esecuzione e delle tabelle delle reti e di altri attrezzi di pesca fin allora in vigore, nonchè il "Regolamento interno di funzionamento della Commissione italo-svizzera per la pesca".

Nel successivo biennio, con la formalizzazione delle nomine delle due Delegazioni (19) nonchè delle segreterie dei rispettivi Commissariati (20), l’attività della nuova Convenzione si rivolse in modo particolare alla revisione del Regolamento di applicazione, soprattutto per verificarne la corrispondenza ai requisiti basilari di “uniformità” della normativa nelle acque dei due Stati, nonchè di “omogeneità” delle disposizioni sui singoli corpi idrici oggetto della Convenzione. Il nuovo testo, comprensivo della regolamentazione di pesca sul F. Tresa, entrò in vigore in data 1 settembre 1992, dopo l’approvazione della Commissione per la pesca nelle acque italo-svizzere.

Oggi, come si evince anche dalla terza ed ultima versione del Regolamento di applicazione in vigore dal 1 gennaio 2006 riportata in questo sito della Commissione, il lungo cammino legislativo delle norme nelle acque italo-svizzere non può essere considerato definitivo. Il rapido evolversi degli attrezzi di pesca professionale e sportiva, e, soprattutto, le modificazioni del popolamento ittico indotte prevalentemente dai processi trofici nei due laghi, ma anche dalla comparsa di specie alloctone per lo più introdotte da pratiche ittiogeniche illegittime e sconsiderate, richiedono un’attenzione continua sulla normativa comune, che dovrà mantenersi costantemente aggiornata per garantire un’effettiva tutela del patrimonio ittico. L’aspetto legislativo è infatti fondamentale per il rispetto delle finalità della Convenzione, che, come si legge in premessa al documento che la sancisce, è di "...assicurare la gestione ottimale del patrimonio ittico delle acque italo-svizzere..." e ciò, nell’ordine, per "...favorire lo sviluppo delle categorie che direttamente e indirettamente operano nel settore della pesca professionale..."; "...consentire un equilibrato sviluppo delle attività di pesca sportiva intesa come espressione del tempo libero..."; "...contribuire alla difesa e al miglioramento dell’ambiente acquatico...".


1 Carlo Vogt, professore di zoologia dell’Univerisità di Ginevra.
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2 Alessandro Romanelli, Direttore dell’Industria e Commercio del Ministero Agricoltura, Industria e Commercio.
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3 Pietro Pavesi, professore universitario e Direttore del Museo Zoologico della Regia Università di Pavia.
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4 Molti incartamenti furono distrutti nell’incendio del Palazzo Borromeo a seguito del bombardamento di Milano dell’agosto 1943 (lettera del Commissario Borromeo al Commissario svizzero del 7/6/62). Tra questi è andato perso anche l’archivio “Cunico” relativo al periodo 1915-1923.
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5 La prima richiesta di modifica della Convenzione fu del Ministero Agricoltura (lettera del 26/8/22 al Commissario italiano Cermenati citata nel verbale di Commissione del 23/11/32, Milano), con conseguente nomina del Commissario De Marchi (verbale di Commissione del 15/10/24, Luino) quale membro della Delegazione italiana incaricata delle trattative per la revisione della Convenzione. La questione si trascinò per quasi 10 anni senza alcun risultato, tanto che il Commissario svizzero (verbale di Commissione del 23/11/32, Milano) rivolse al Commissario italiano un pressante invito a concludere il riesame della Convenzione, citando almeno 19 punti da risolvere e facendo presente che le Società di pesca del Cantone Ticino premevano sulle Autorità svizzere per denunciare la Convenzione al Governo italiano. Ma anche queste “minacce” non sortirono effetti. Negli anni successivi non si riscontrano in archivio richieste o notizie di trattative per modificare la Convenzione. Probabilmente i Commissari avevano convenuto di intraprendere la strada forse più percorribile di riesaminare e modificare le Tabelle degli attrezzi. Fu soltanto nel triennio 1947-1949 (verbali di Commissione del 10/5/47, Cavallino di Lugano e del 1/9/49, Lugano) che i Commissari, contestualmente con il riesame del Regolamento, proposero modifiche della Convenzione limitatamente ad alcuni articoli, poi accettate e trasformate in legge i DPR del 7/12/48 n. 1618 e del 2/7/51 n. 1361. Alla fine degli anni ‘50 ripresero gli sforzi per l’aggiornamento della Convenzione (verbale di Commissione del 16/5/59, Pallanza): via via che i due Commissari affrontavano l’esame della normativa emergevano in continuazione nuove esigenze di modificare l’intero impianto di regolamentazione della pesca nelle acque comuni ai due Stati. Il processo di verifica durò così fino all’inizio degli anni ‘70 quando vennero messi a confronto due testi unici predisposti dal Ministero degli Affari Esteri italiano (nota del 21/9/70 alle Autorità svizzere citata nel verbale di Commissione del 20/2/71, Milano) e dalla Divisione Affari Giuridici del Dipartimento Federale (stesso verbale). Ma anche questa iniziativa, tranne l’emanazione dei citati Decreti Prefettizi del 1971 sulle tabelle delle reti, non produsse alcun risultato.
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6 Questi decreti, che secondo l’intenzione dei Commissari del tempo dovevano essere transitori, rimasero in vigore per 20 anni! Furono abrogati, dopo laboriose trattative diplomatiche più volte richieste dai Commissari, con DR 2/2/39 n. 535, in vigore dal 16/4/39 congiuntamente a pari decreto svizzero del 11/4/39.
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7 Sostegno del Commissario italiano Borromeo alle richieste del sindaco di Porto Ceresio in favore dei “ ....non pochi pescatori di mestiere che non hanno altre riserve onde trarre il proprio sostentamento....” presso il Commissario svizzero (lettera del 31/10/46). La questione fu affrontata in Commissione (verbale del 17/3/47, Brusinpiano) e risolta, anche se non completamente, un anno più tardi (lettera del Commissario svizzero Albisetti al Commissario Borromeo del 12/4/48).
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8 Segnalazione di scomparsa quasi totale fatta da Michele Antonini Capo dell’Azienda Caccia e Pesca di Bellinzona (Verbale di Commissione del 30/3/43, Chiasso).
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9 Gli studi furono affidati ad una Commissione formata da esperti svizzeri, il prof. Steinmann di Aarau e il dr. Florin per la parte ittiologica, i professori Jaag e Märkli del Politecnico di Zurigo per le competenze chimico-idrobiologiche, nonchè da ricercatori italiani, i professori Baldi, direttore dell’Istituto Italiano di Idrobiologia di Pallanza, Tonolli e Pirocchi dello stesso Istituto per le competenze limnologiche (lettera del Commissario svizzero Albisetti al Commissario italiano Borromeo del 6/6/46 e relazione del 25/1/47 di Albisetti all’Alto Dipartimento Federale di Berna).
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10 Segnalazione al Commissario italiano del presidente del Consorzio Interprovinciale Tutela Pesca Lago Maggiore, prof. Vittorio Tonolli, direttore dal 1951 dell’Istituto Italiano di Idrobiologia (lettera del 13/11/56).
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11 Per questo importante tributario del Lago Maggiore esistono in archivio due segnalazioni di rilevanti mortalità ittiche provocate da scarichi industriali: il primo episodio, denunciato dall’Associazione Volontaria Pesca Montanari Ossolani (lettera del 23/1/57), è avvenuto il 16 gennaio 1957 ed ha interessato il F. Toce per un tratto di diversi chilometri immediatamente a valle della confluenza del T. Ovesca; il secondo, ancora più grave, è relativo al maggio 1962, quando fu distrutto pressochè interamente il popolamento ittico del fiume da Piedimulera alla foce e fu pesantemente inquinata anche la zona del Lago Maggiore compresa fra Feriolo e Suna (lettera del 24/5/62 del Commissario Borromeo allo Stabilimento Ittiogenico di Brescia per richiedere istruzioni al fine di intentare causa alla soc. Rumianca di Piedimulera ritenuta responsabile del disastro). Ma ben prima di questi episodi erano state denunciate situazioni di grave compromissione della acque del Toce. Ne rendono testimonianza diretta le lamentele dei pescatori che fin dal 1949 (lettera del 3/649 dell’Unione dei Pescatori del Lago Maggiore) protestavano per la puzza di “fenolo” che rendeva immangiabili le trote catturate nel fiume e, addirittura, nel Lago Maggiore. Così pure, gli esposti e le informazioni inviate al Commissario da privati cittadini (lettere del 31/3/51, 17/9/51, 7/11/51, 20/9/54, 9/10/56), gli accertamenti del guardiapesca (lettera del 14/7/54), le perizie tecniche inviate dalla Prefettura di Novara (lettera del 7/8/51), i saggi di tossicità eseguiti dal Consorzio Tutela Pesca Lago Maggiore (lettera del 16/5/55) provano come la situazione di profonda alterazione del fiume fosse prevalentemente dovuta in quegl’anni allo scarico di residui della lavorazione di composti organo-clorurati.
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12 Tra i tributari del Lago Maggiore, questo fiume ha il primato delle segnalazioni di inquinamento più lontane nel tempo. Esse riguardano il 1939 quando l’attenzione del Commissario italiano fu attirata dall’esposto del Consorzio Lombardo Tutela Pesca (lettera del 4/5/39) sulla presenza di scarichi di sostanze coloranti e nocive di tre industrie tessili (cotonifici) che, pur non provocando mortalità ittiche, erano nocive allo stato biologico delle acque. Le morie riguardarono invece una forma di inquinamento che ha interessato, come avviene tuttora, molti corsi d’acqua a valle di bacini artificiali. La gestione della diga di Creva ha infatti provocato diversi episodi di distruzione della fauna ittica nel fiume, in conseguenza di svuotamenti improvvisi per la pulizia dei fanghi di fondo (esposti del Consorzio Lombardo Tutela Pesca del 22/10/51 e 27/11/63, nonchè della Provincia di Varese del 18/4/69), ovvero di asciutte per la chiusura totale delle paratoie (richiesta del 24/5/53 del Commissario italiano alla Soc. Idroelettrica Subalpina di mantenere rilasci minimi idonei ad evitare morie ed esposto della FIPS di Varese del 3/6/65).
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13 Evento del 30/6/61 denunciato dal Commissario italiano alla Provincia di Varese (lettera del 4/7/61) che aveva provocato estese mortalità ittiche nel tratto terminale del fiume e nella zona di lago antistante la foce. Secondo il Commissario, la causa era da attribuirsi ad uno scarico tossico di una ben precisa azienda elettrogalvanica, ma la Provincia rispose (lettera del 9/8/61) che era ormai impossibilitata a stabilire la responsabilità delle morie. Sull’argomento intervenne anche il Consorzio Lombardo Tutela Pesca per segnalare che la sponda lombarda del lago era sottoposta a continui inquinamenti derivanti, non solo dai Fiumi Tresa, Boesio e Monvallina, ma anche da scarichi urbani ed industriali direttamente a lago in molti comuni rivieraschi (lettera al Commissario del 28/7/61).
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14 prof. O. Jaag, direttore dell’Istituto Federale per l’approvvigionamento, la depurazione e la protezione delle acque, Zurigo; presidente della Commissione.
Ing. A. Massarotti, chimico bromatologo e capo sezione Protezione Acque del Laboratorio Cantonale di Igiene, Lugano.
dott. A. Pedraita, capo servizio Caccia e Pesca del Cantone Ticino, Bellinzona.
prof. C. Cominazzini, direttore del reparto Medico Micrografico del Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia di Novara.
dott. C. Sampietro, direttore del Laboratorio di Igiene e Profilassi, Sezione Chimica, della Provincia di Como.
prof. V. Tonolli, direttore dell’Istituto Italiano di Idrobiologia di Pallanza.

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15 dott. Rodolfo Pedroli per la Svizzera e cav. Fausto Del Ponte per l’Italia (verbale Commissione del 26/10/73, Stresa).
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16 Il Regolamento interno della Commissione italo-svizzera per la pesca (Verbale di Commissione del 14/7/78, Lugano) prevedeva che la Commissione fosse composta da un Commissario e da due Vicecommissari per ciascun Stato e fosse affiancata in via permanente da una Sottocommissione di tre esperti in materia di pesca per ciascun Stato, con la possibilità di consultare di volta in volta esperti particolari e rappresentanti delle varie categorie interessate alla pesca nelle acque comuni.
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17 Nel 1979 (Verbale di Commissione del 27/7/79, Ispra), in attuazione del Regolamento interno della Commissione italo-svizzera per la pesca, per la prima volta vennero nominati due vicecommissari nelle persone dell’on. Paolo Caccia di Varese e del dr. Alcide Calderoni, assessore alla pesca della Provincia di Novara. Inoltre furono scelti i tre esperti italiani della Sottocommissione tecnica nelle persone del prof. Ettore Grimaldi, direttore dell’Istituto Italiano di Idrobiologia, cav. Guido Gottardi, presidente della Cooperativa pescatori professionisti del Verbano, e il sig. Giordano Bardelli, presidente della Cooperativa pescatori professionisti lombardi.
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18 Alla seduta di Commissione (Verbale del 19-20 novembre 1980, Berna), parteciparono i seguenti Delegati, espressamente nominati dai due Stati:
sen. Fausto Del Ponte, Capo della delegazione italiana, Commissario italiano per la pesca nelle acque italo-svizzere;
dott. Alcide Calderoni, Vicecommissario italiano per la pesca nelle acque italo-svizzere;
dott. Angelo Porcelli, Direttore Divisione Pesca del Ministero Agricoltura e Foreste;
dott. Francesco Mannucci, Consigliere di Stato, Servizio del Contenzioso Diplomatico del Ministero Affari Esteri;
dott. Claudio Spinedi, Segretario dell’Ambasciata d’Italia a Berna;
dott. Rodolfo Pedroli, Capo della delegazione svizzera, Commissario svizzero per la pesca nelle acque italo-svizzere;
sig. Walter Castagno, Vicecommissario svizzero per la pesca nelle acque italo-svizzere;
sig. Luigino Gamboni, Vicecommissario svizzero per la pesca nelle acque italo-svizzere;
dott. Bernard Dubois, Dipartimento Affari Esteri, Sezione delle Frontiere e Vicinato;
dott. Hans Ulrich Schweizer, Responsabile dell’Ufficio Federale dell’Ambiente, delle Foreste e del Paesaggio.
Le funzioni di segretario della seduta furono svolte dal dott. Alessandro Rima, già segretario della Commissione per la protezione delle acque italo-svizzere, che nel frattempo era stato incaricato anche della segreteria della Commissione per la pesca nelle acque italo-svizzere (Verbale di Commissione del 27/6/80, Locarno).

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19 L’elenco completo dei Commissari, Vicecommissari e dei membri della Sottocommissione tecnica, alla cui presidenza fu riconfermato il prof. Ettore Grimaldi, è riportato nella citata presentazione del primo volume della Commissione.
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20 Il dott. Alessandro Rima per il Commissariato svizzero ed il dott. Alcide Calderoni per quello italiano.
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